Il 23 luglio scorso (2012) Angelo Panebianco, nel fondo del “Corriere della Sera”, ha scritto che quello di attribuire “la responsabilità dell’elevata tassazione vigente all’eccesso di evasione fiscale, promettendo di colpire gli evasori fiscali per diminuire le tasse, è un modo sottile e subdolo di affrontare il problema (che esiste e come, anche per via di un tasso di fiscalità che ha lo scandaloso primato di essere il più alto al mondo) dell’evasione fiscale in Italia”.
Aggiungendo: “Anche se è molto popolare, condivisa da tanti, la tesi secondo cui per ridurre le tasse bisogna prima contenere l’evasione fiscale, è falsa. E’ vero infatti l’esatto contrario. Per contrastare, come è doveroso fare, l’evasione fiscale, non basta, anche se è ovviamente necessario, usare gli strumenti repressivi: bisogna anche ridurre, in modo cospicuo, le tasse.
Soltanto una riduzione della pressione fiscale, infatti, può spingere l’evasore o il potenziale evasore a rifare il calcolo delle proprie conoscenze, a cambiare la propria valutazione dei vantaggi e dei rischi dell’evasione. Senza di che, nemmeno la più vigorosa e puntuta lotta all’evasione potrà mai ottenere seri e durevoli risultati”. Con buona pace di quel che ha recentemente dichiarato Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Angelo Panebianco è un illustre politologo e un acuto analista delle vicende politico-sociali italiane. Io sono un povero intellettuale di servizio: uno storico dell’arte moderna, esperto delle Avanguardie storiche del Novecento. Che cosa c’entro col fisco? Niente, da un punto di vista tecnico. Ma sono anch’io un contribuente. E sono un cittadino (non un suddito) di questo Paese, con il difetto di voler ragionare sulle cose. Quindi mi sia permesso di citare quel che scrivevo nel mio libro Cinquant’anni attorno all’arte. Dalla A alla Z, sin dal 2008 (anno della prima edizione), in un capitolo intitolato FISCO: “Il governo, per difendersi dalle accuse di andar giù pesante con la tassazione sia dei privati che delle imprese, è solito dire: “Pagate tutti e pagherete meno”. Dal punto di vista logico-matematico l’affermazione non fa una piega. Ma dal momento che, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, si potrebbe anche dire: “Fateci pagare meno e pagheremo tutti”, anzi io preciserei: “Fateci pagare meno e pretendete sul serio che paghino tutti”. Non sono sicuramente esperto di fiscalità e nemmeno di economia [….] ma, molto sommessamente faccio e propongo il seguente ragionamento: perché il governo non convoca una commissione di esperti la quale, in sei mesi (credo che sia un tempo ragionevole) di lavoro full immersion, utilizzando se necessario anche i giorni festivi, sia in grado di determinare l’aliquota giusta e da chiunque sostenibile (privati e imprese), capace di assicurare le entrate necessarie ai fabbisogni del Paese e, al tempo stesso, che non comprima i consumi (quelli intelligenti e utili, gli altri vadano pure in malora)? Perché, sempre entro lo stesso lasso di tempo, il Parlamento non provvede ad elaborare ed a far entrare in vigore una legge severa in virtù della quale chi viene sorpreso ad evadere e ad eludere le imposte, una volta entrata in vigore l’aliquota nuova e più equa (25%? 30%? 33%?), finisca in galera scontando la pena fino all’ultimo giorno? E perché, in contemporanea, non ci si organizza, approntando gli strumenti legislativi idonei affinché i cittadini che pagano le tasse ricevano sul serio servizi efficienti e rapidi, senza dare più spazio ai parassiti, ai fannulloni, ai profittatori, ai corrotti, agli incapaci, agli sperperatori che allignano oggi in gran parte dei gangli della burocrazia e dell’amministrazione pubblica?”. Mi pare che quel che andavo scrivendo nel 2008 sia sostanzialmente in linea con la filosofia che è sottesa all’analisi di Angelo Panebianco.
Già li sento i soloni, tra politici, sindacalisti, e burocrati, con la puzzetta sotto il naso, etichettare la mia proposta come semplicistica. E se invece fosse soltanto semplice? Ma forse io, povero intellettuale di servizio, storico dell’arte moderna e studioso delle Avanguardie storiche del Novecento, mi posso interessare di Fauvismo, di Cubismo, di Futurismo, di Dadaismo, di Astrattismo, di Surrealismo e via dicendo. Di fisco no, perché non è roba per me. Di fisco si debbono occupare quelli che se ne occupano attualmente – economisti, banchieri, finanzieri, sindacalisti e politici – con il brillante risultato che il tasso di fiscalità che hanno saputo dare all’Italia è il più alto del mondo. E l’evasione persiste. Come alibi e, in certi casi, come necessità.
Se una volta tanto cercassimo di fidarci delle soluzioni semplici, di quelle che scaturiscono dal buon senso popolare? Non dimenticando che poi è il popolo a votare. Si proprio quello tartassato. Che magari, un giorno o l’altro, è capace pure di incazzarsi.
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