Il periodico d’informazione on line SPB24 di San Pietroburgo ha intervistato il Console On orario della Federazione Russa di Ancona nella sua qualità professionale di critico d’arte. Ecco il testo dell’intervista in lingua italiana.
Prof. Armando Ginesi, potrebbe gentilmente raccontarci come è nata la sua passione per l’arte e per la sua interpretazione?
E’ nata grazie al docente di Lingua e letteratura italiane del Liceo Classico di Jesi (Ancona) da me frequentato, ahimé, molti anni fa, il quale, oltre a svolgere egregiamente le lezioni proprie della sua materia, era solito portare in classe (mi riferisco al finire degli anni Cinquanta, ovviamente del secolo corso) una collana editoriale d’arte uscita in quei tempi “I Maestri del Colore” ne era il titolo, della Fratelli Fabbri Editore, diretta da Franco Russoli) che ci faceva spalancare gli occhi sulla produzione artistiche delle avanguardie storiche (dunque sulla modernità) a noi che eravamo immersi fino al collo nello studio dell’arte antica, da quella pre-greca al settecento italiano ed europeo. Poi il mio interesse crebbe fino al punto di diventare prima un cronista d’arte, poi un critico e docente, ordinario di storia dell’arte presso l’Accademia Statale di Belle Arti di Macerata.
Come considera oggi la critica contemporanea? Quali sbocchi vede per il futuro dell’arte?
La trovo troppo coinvolta con il mercato di cui asseconda, in genere, le esigenze e le regole. Incapace, molto spesso, di distinguere tra i valori di mercato (che rispondono alle leggi economiche della domanda e dell’offerta nonché a meccanismi estranei alla natura dell’arte, come, per esempio, il marketing) ed i valori artistici, creativi, culturali o, se preferite, spirituali, delle opere. Infatti non è detto che i primi e i secondi valori si identifichino sempre: anzi sono molte le volte in cui ciò non si verifica.
L’arte (che è anche prodotto storico) è oggi in crisi come, del resto, lo è tutto ciò che, da un punto di vista storico e sociale, la circonda. Per ora essa sembra finita dentro quello che i francesi chiamo un “cul de sac” e non vedo quale sbocco possa trovare a breve termine. Sicché la ricerca e il giudizio di valore che ne consegue, debbono solo basarsi sulla qualità dell’espressione, ignorando altri fattori come i contenuti, le ideologie eccetera. Ricordiamoci di ciò che, già nel Settecento, ci insegnava J. Richardson: “A noi non deve interessare tanto quel che l’artista dice, ma il modo in cui lo dice”. Pertanto è l’ermeneutica del linguaggio di cui ci dobbiamo occupare, non di altro.
Chi è il critico d’arte? Quale è il suo ruolo?
E’ un interprete. Nato, come funzione, più o meno nel Rinascimento (a partire dal Quattrocento) per garantire la committenza, sia religiosa che laica, che gli artisti non commettessero errori rappresentativi di ordine teologico o storico-mitico. Oggi egli continua a svolgere, più o meno, questa funzione “aiutando” il fruitore a districarsi nella molteplicità pressoché infinita delle modalità linguistiche conseguenti all’Impressionismo e alla avanguardie storiche del Novecento nonché a saper riconoscere il portato qualitativo dell’opera.
Il critico interpreta ed esprime la psicologia dell’artista?
Anche. Ricordiamoci di quel che disse Arnold Hauser nel suo “Le teorie dell’arte” e cioè che l’opera è sempre figlia di tre padri: il mondo psicologico dell’autore, appunto; il gruppo socio-storico al quale appartiene; una logica delle forme che segue leggi evolutive proprie. Ma anche ricordiamoci dell’affermazione di un altro grande studioso, Giulio Carlo Argan, che definì l’arte un fenomeno complesso dalla diramate radici. Ebbene tra queste radici c’è anche la dimensione psicologica dell’artista.
Il mercato danneggia l’arte?
Il mercato, da sempre, è parte del sistema dell’arte. Oggi, però, è diventato troppo condizionante. Condiziona l’arte – e dunque ne danneggia l’autenticità del dire – come del resto tante altre cose del vivere sociale.
Quanto rispondono le mostre d’arte a criteri di ricerca e informazione artistica e quanto a logiche commerciali?
Ogni manifestazione d’arte è (o dovrebbe essere) un’operazione culturale con alla base un solido progetto di studio e di ricerca ed anche con un obbiettivo propositivo (una tesi, insomma). Altrimenti non è una “mostra”, ma una “fiera” che persegue scopi diversi da quelli culturali, quali sono appunto quelli commerciali. Purtroppo, nel nostro tempo e nel mondo occidentale, le seconde sono in aumento rispetto alle prime.
Sono solo un fattore di marketing?
Vale la risposta data alla domanda precedente.
La città ha un ruolo fondamentale nell’arte: come vede il testo di Tommaso Campanella “La città del sole”? Solo utopia, oppure già si intravvede qualcuna di queste città? Qual è la situazione in Italia da questo punto di vista?
“La città del sole” è certamente un testo utopico. Ma “utopia” non vuol dire qualche cosa che è impossibile realizzare. Etimologicamente significa: “où tòpos” (in greco antico: non luogo; luogo che non c’è). Dunque un luogo che non c’è ancora, ma che non è detto che non ci sia nel futuro: potrebbe essere stato non scoperto o non creato. L’Italia sta subendo, da decenni, una regressione culturale dal punto di vista urbanistico, quindi della progettazione della città. Praticamente l’urbanistica è scomparsa (l’ultimo esempio risale al fascismo: si pensi all’EUR a Roma, per farne uno significativo, o alla nascita di città ideate da nuovo come Littoria (oggi Latina), Ginosa Marina e molti altri centri nelle allora colonie, soprattutto africane). Oggi è rimasta solo l’architettura, nei casi migliori. Oppure l’ edilizia. Ma la progettazione della città non appartiene più alla nuova cultura: purtroppo è un valore importante ma perduto. Ritornando a “La città del sole”, dal nostro orizzonte culturale e sociale, l’utopia o si è isterilita o, quella che è rimasta, ha cambiato natura.
Secondo Lei come sono cambiate o come dovrebbero cambiare le politiche museali con le tecnologie di rete?
Le nuove tecnologie possono (e debbono) essere utilizzate per accrescere enormemente la conoscenza dell’arte. Quindi sono utili anche ai fini di nuove metodologie espositive e museali. Ma attenzione: il loro essere verità virtuale non potrà mai sostituire la verità reale, quella autenticamente vera.
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